L'Uomo Homo Sapiens.

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ITINERARI - SVILUPPO E PROGRESSO - L'HOMO SAPIENS

POPOLAZIONE E RISORSE NELL'ECONOMIA DI CACCIA E RACCOLTA

C'è un modo per stabilire quanti erano gli uomini che abitavano la Terra nella preistoria? Al solito, e con tutta la prudenza necessaria, si possono fare dei confronti con le popolazioni attuali di cacciatori-raccoglitori. Anche oggi in un'economia di caccia e raccolta la densità della popolazione non può che essere molto bassa. Le dimensioni di una popolazione dipendono però da una quantità di fattori diversi: le risorse naturali disponibili dall'ambiente, la tecnologia di cui è in possesso, il tipo di organizzazione sociale e così via, e possono variare moltissimo. I Pigmei, ad esempio, hanno una densità di popolazione che è circa quattro volte più alta di quella degli aborigeni australiani e quasi trenta volte più alta di quella degli Esquimesi. Facendo una media grossolana, si può calcolare che un gruppo di 30-50 individui avesse bisogno nelle condizioni del Paleolitico superiore di un territorio di almeno 1000-1500 km² per sopravvivere, il che significa per un'area grande come la Francia una popolazione di circa 30.000 persone, non superiore in ogni caso alle 50.000. Risultati non molto diversi si ottengono rapportando il fabbisogno alimentare dell'uomo alle risorse offerte dall'ambiente nelle condizioni del Paleolitico superiore, quando in Europa i branchi di renne erano abbondanti. Per nutrire un uomo occorrevano una decina di renne all'anno. Un gruppo di una cinquantina di individui aveva dunque bisogno nel corso di un anno di catturare 500 renne circa, il che significa che nel suo territorio il numero di renne doveva essere almeno dieci volte superiore: è stato calcolato che per ospitare un tale numero di renne fosse necessario un territorio di circa 1500 km². Naturalmente una tecnologia più avanzata permette di estrarre dallo stesso territorio molte più risorse di una tecnologia primitiva. Perfezionando utensili e armi e migliorando la propria organizzazione sociale gli uomini del Paleolitico superiore e del Mesolitico hanno potuto realizzare un lento ma sensibile aumento demografico e rendere possibile un certo aumento anche nelle dimensioni dei singoli gruppi. Ma l'economia di caccia e raccolta poneva dei limiti precisi allo sviluppo: per sfruttare in modo efficace il territorio mediante rapidi spostamenti alla ricerca delle fonti di sostentamento, i singoli gruppi dovevano restare abbastanza piccoli contenendo le nascite. È improbabile che questo problema si presentasse in forma drammatica, data l'abbondanza di terre dove poteva trovare rifugio l'eventuale eccesso di popolazione, e data soprattutto l'azione di fattori naturali che direttamente o indirettamente contribuivano a conservare l'equilibrio tra la popolazione e le risorse ambientali. La mortalità, ad esempio, e in particolare la mortalità infantile, doveva essere piuttosto alta, mentre la natalità trovava limiti, ad esempio, nella dieta povera di grassi, che pare generi una riduzione della fertilità della donna durante l'allattamento. In altre parole, è difficile che il numero dei nati superasse stabilmente quello dei morti e pertanto le dimensioni dei gruppi di cacciatori-raccoglitori raramente riuscivano a superare un certo limite. Potevano esserci però delle oscillazioni sensibili intorno ai valori di equilibrio e il fatto che i gruppi non fossero molto numerosi comportava semmai il rischio che una qualsiasi piccola variazione sfavorevole nell'andamento demografico (un aumento temporaneo delle morti, una diminuzione anche modesta delle nascite, uno squilibrio casuale nella ripartizione tra maschi e femmine) bloccasse in modo irreparabile la capacità di riproduzione del gruppo. Non è chiaro quale fosse il meccanismo adottato in caso di crisi per evitare il disfacimento del gruppo. Di certo il modo più semplice di sfuggire a situazioni difficili con persistente scarsità di cibo e conseguente denutrizione di una parte almeno dei membri del gruppo (presumibilmente la parte più debole), restava pur sempre la migrazione verso aree più ricche. D'altra parte, anche indipendentemente da possibili eventi catastrofici, la migrazione verso nuovi territori era un'abitudine imposta dall'inevitabile esaurimento delle riserve di selvaggina e di vegetali commestibili che l'attività stessa del gruppo produceva ovunque si fermasse. Nonostante i perfezionamenti tecnici, i gruppi di cacciatori raccoglitori vivevano dunque in condizioni di costante mobilità. La caccia (come del resto la raccolta dei vegetali) ha i suoi imprevisti: a dispetto dell'abilità del cacciatore (o del raccoglitore) il caso vi gioca un ruolo importante. Proprio per questo gli animali da preda sono generalmente costretti ad ingozzarsi di cibo quando hanno la fortuna di trovarlo, mentre soffrono la fame e rischiano la morte se per una ragione qualsiasi il nutrimento viene a mancare per un tempo prolungato. Anche ai predatori umani poteva accadere di restare a lungo senza cibo. Era possibile evitare, almeno in una certa misura, i capricci della fortuna mediante la formazione di scorte alimentari dalle quali attingere nei momenti difficili. Si trattava però, per forza di cose, di provviste limitate, tenuto conto, tra l'altro, dell'intralcio che riserve ingombranti potevano rappresentare per gruppi la cui sopravvivenza dipendeva in buona parte dalla mobilità. Quello della conservazione del cibo, poi, e in particolare della carne, era un grosso problema. Nelle regioni fredde la carne poteva essere sotterrata nella terra gelata altrove poteva essere affumicata al fuoco, o seccata al sole e in tal modo restava commestibile anche per un tempo molto lungo. Ma di norma la selvaggina uccisa o i pesci catturati dovevano essere consumati entro brevissimo tempo. I margini di sicurezza su cui i gruppi di cacciatori-raccoglitori potevano contare erano insomma assai limitati. Per uscire da questa situazione di incertezza e per consentire un ulteriore aumento della popolazione occorreva che l'uomo realizzasse un controllo più ampio e più regolare delle proprie risorse alimentari. Vi sarebbe giunto solo in età agricola, quando la disponibilità di vegetali commestibili sarebbe dipesa dalla decisione di lavorare il terreno secondo una sequenza di operazioni attentamente studiata e quando l'allevamento del bestiame avrebbe sostituito o integrato la caccia come attività fornitrice di proteine animali.

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ARCHEOLOGIA ECONOMICA

L'archeologia economica si occupa dello studio dei rapporti esistiti nel passato fra uomo e risorse (queste ultime intese soprattutto come risorse alimentari) e delle tecniche di sopravvivenza adottate di volta in volta dai vari gruppi umani. Le condizioni ambientali dell'antichità acquistano un particolare interesse in questo tipo di analisi: per esempio, dalla quantità e da tipo di fauna e di flora commestibili a disposizione della popolazione di un sito si può talvolta dedurre il numero degli individui che lo abitavano. Le tecniche di sopravvivenza, legate allo sfruttamento delle risorse naturali, si possono valutare in base alla struttura dell'insediamento umano, alla durata dell'occupazione, alle dimensioni del sito, alla distribuzione sul territorio degli abitati (ad esempio in relazione alla localizzazione delle fonti di approvvigionamento), e così via. Le ricerche di archeologia economica richiedono peculiari tecniche di raccolta dei dati di scavo. Fino a qualche tempo fa chi scavava tendeva a raccogliere solo i reperti più appariscenti trascurando le minuzie, come ad esempio le lische di pesce, semi, gli oggetti non lavorati, ecc. Ciò ha portato spesso a interpretazioni scorrette e frammentarie che poi non è stato più possibile correggere perché quel che viene distrutto o trascurato durante uno scavo è, almeno di norma, perduto per sempre. Per fare un esempio, è possibile che la convinzione generale che nel Paleolitico gli uomini non pescavano né cacciavano uccelli, sia dovuta al fatto che la maggior parte dei siti risalenti a quel periodo sono stati scavati trascurando i resti di questi animali (che per altro sono assai deperibili). Oggi che quelle «minuzie» vengono considerate «dati archeologici» allo stesso titolo degli utensili o dei crani su cui in passato si concentrava l'attenzione degli archeologi, anche questa convinzione è cambiata: in alcuni scavi eseguiti di recente sono state scoperte tracce di «microfauna» (ne fanno parte pesci, uccelli, piccoli roditori, molluschi, insetti ecc.) che sembrano testimoniare appunto attività di pesca e uccellagione. L'evoluzione recente delle tecniche di scavo e del concetto stesso di «dato archeologico» ha portato ad ottenere ottimi risultati dal punto vista dell'archeologia economica. Procedimenti come la flottazione che consiste nell'immersione della terra scavata in un liquido (per lo più acqua), per far galleggiare gli oggetti di materiale organico che di solito pesano meno di quelli inorganici, hanno permesso di raccogliere un gran numero di informazioni sull'ambiente naturale dei contesti archeologici. In questo campo e stato introdotto l'uso di tecniche statistiche per determinare, ad esempio, in base al campione costituito dalle ossa ritrovate nel sito, quale fosse la quantità degli esemplari cacciati. Di solito il numero e il tipo di ossa rinvenute negli insediamenti antichi viene confrontato con i resti di popolazioni animali moderne. L'abbattimento di un branco di cervi composto da 30 esemplari da parte di una popolazione primitiva moderna produce un certo quantitativo determinabile di ossa di vario tipo: se questi dati risultano simili a quelli riscontrati in uno scavo, tenendo conto del tempo trascorso e quindi della relativa perdita di un certo quantitativo di informazioni, si può supporre che gli antichi cacciatori di quel sito avessero anche loro abbattuto 30 cervi. Si tenta di capire quali capi i cacciatori preferivano abbattere: maschi o femmine individui giovani o anziani. Se la caccia è tale da distruggere una specie animale gli uomini che vivono dei prodotti di quella caccia si trovano senza risorse alimentari. È quindi ragionevole supporre che i cacciatori adottino criteri di selezione, uccidendo, per esempio, solo individui deboli o anziani, ed evitando di abbattere femmine o capi giovani, in modo da non alterare la conservazione della specie in questione. Si tratta di una «strategia di sopravvivenza» adottata comunemente, che può essere descritta dai cosiddetti modelli «preda-predatore». In origine questi modelli erano utilizzati dai biologi e dagli zoologi per analizzare i rapporti esistenti fra specie animali diverse (per esempio fra squali e tonni), solo in un secondo momento si è pensato di utilizzarli in campo archeologico. Criteri di studio simili sono stati impiegati anche per quanto riguarda l'attività agricola degli uomini preistorici; l'impiego della statistica in questo settore ha portato discreti risultati, anche se alcuni procedimenti adottati si sono dimostrati imperfetti. In certi casi si è partito dal presupposto che in un sito il tipo di pianta presente in maggior quantità fosse anche la più sfruttata; esistono però moltissimi fattori che favoriscono la conservazione dei resti di una pianta a scapito di altre, come ad esempio l'uso che se ne faceva (piante di uso tessile come il lino e il cotone non vengono conservate in granai). Per lungo tempo si è ritenuto che il passaggio dalla semplice raccolta di vegetazione spontanea all'agricoltura fosse stato improvviso, senza fasi intermedie. Ciò è stato smentito dalle analisi di pollini fossili eseguite in diversi siti che hanno dimostrato l'esistenza, durante le ultime fasi del Paleolitico superiore, di pratiche di disboscamento mediante incendio (il cosiddetto landnam) per favorire la crescita di piante commestibili, dando inizio alla cosiddetta «domesticazione delle colture». Tutte le piante che coltiviamo attualmente sono state «addomesticate», ovvero sono il risultato di una selezione operata dall'uomo, il quale privilegia per la semina quegli esemplari che sono più robusti, o comunque più produttivi, che sono così favoriti nella riproduzione. Purtroppo non si conosce ancora in modo sufficiente la distribuzione delle piante cereali (grano, orzo, ecc.) nel Vecchio Mondo, per poter determinare passaggio da pianta selvatica a pianta domestica, e quindi l'inizio dell'intervento umano nella selezione naturale. Il limite principale dell'archeologia economica consiste nel fatto che con i metodi prima descritti è difficile valutare le economie complesse, in cui entrano in gioco fattori non individuabili neppure mediante l'accurata raccolta dei dati faunistici e botanici. Si tratta in sostanza di criteri molto utili quando bisogna studiare la situazione di un sito circoscritto o di piccoli agglomerati, ma la loro efficienza diminuisce quando si devono considerare eventi di portata superiore. La quantità di grano ritrovata in un insediamento può dirci quanto ne veniva consumato, ma nel caso di civiltà articolate che praticavano il commercio non siamo in grado di capire se il grano proveniva dall'esterno o veniva raccolto nelle vicinanze del sito. In generale l'archeologia economica può indagare su eventi particolari e non su vasta scala. Inoltre il tipo di dati che vengono studiati porta spesso ad avere una visione troppo «naturalistica» dei fenomeni archeologici e induce a trascurare fattori importanti come l'organizzazione sociale, le attività artigianali, il commercio, ecc.

IL PALEOLITICO MEDIO E L'UOMO DI NEANDERTHAL

IL PALEOLITICO MEDIO E L'UOMO DI NEANDERTHAL ...

I VILLAGGI PALEOLITICI UCRAINI IL PALEOLITICO SUPERIORE E LA COMPARSA DELL'UOMO MODERNO

NEANDERTHALENSIS E SAPIENS: FRATELLI O CUGINI? IL PERFEZIONAMENTO DELLE TECNICHE DI LAVORAZIONE DELLA PIETRA L'ATTREZZATURA DEL PALEOLITICO SUPERIORE

LA COLONIZZAZIONE DELLA TERRA LA PESCA NELLA PREISTORIA

L'ARTE PALEOLITICA IL MESOLITICO

 POPOLAZIONE E RISORSE NELL'ECONOMIA DI CACCIA E RACCOLTA ARCHEOLOGIA ECONOMICA

MODELLI DI SIMULAZIONE SISTEMI E DIAGRAMMI DI FLUSSO

UN ESEMPIO DI ANALISI TERRITORIALE ARCHEOLOGIA ECONOMICA E ANALISI DEI SISTEMI

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09 Giu. 2025 5:01:34 am

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